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19 Marzo 2024

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La tratta dei trasportisti sulla pelle dei profughi ucraini

Di Felice Massimo De Falco

“Gli ucraini che organizzano i viaggi della salvezza sono gli stessi che, in tempo di pace, portavano merci e  persone in Italia o negli altri Paesi dove lavorano i miei connazionali. Solo che ora vogliono il doppio dei soldi con la scusa che quel denaro serve a finanziare l’esercito in guerra”.

Olga ha 45 anni, è da poco arrivata nel piccolo hub allestito dal Comune e della Protezione Civile alla stazione Centrale di Milano dopo essere fuggita da Cernăuți, importante centro culturale ucraino a una ventina di chilometri dal confine con la Romania. La sua testimonianza porta luce sul business attorno alla disperazione dei profughi che, più passano i giorni e il conflitto si inasprisce, meno hanno remore a tirare fuori  i loro risparmi per lasciare il Paese.

Anna è fuggita da Kiev, dove faceva la commessa in un negozio di abbigliamento, prima in auto con degli amici e poi ha camminato 8 ore per raggiungere la Slovenia. Lei non ha dovuto pagare nulla, ma racconta all’AGI quello che ha visto e sentito. Chiama “ladri” gli intermediari che si mettono a disposizione per i viaggi a pagamento. “Spesso sono bielorussi, ti chiedono di versargli i soldi sulla carta di credito, 100 o 200 euro, per farsi venire a prendere. Ci sono tanti gruppi su Telegram dove è possibile incontrare queste persone”.

Ce ne mostra uno che si chiama ‘Nettuno’ e traduce la conversazione in ucraino. “Potete aiutarci?”, è la richiesta di un utente.“Si, viviamo vicino a Mariupol. Dovete pagare 2mila euro, il cinquanta per cento subito, l’altro cinquanta dopo. Appena troviamo un aiuto per voi vi chiamiamo”. Chi vuole scappare insiste: “Allora ci aiutate a superare il confine? Scusate, la nostra casa è distrutta, anche la cantina è distrutta”.

Anna, che ha i genitori rimasti a Mariupol, commenta: “Per fortuna che ha nevicato in questi giorni, così con la neve sciolta c’è l’acqua che fanno bollire per cucinarsi qualcosa”. 
Una volontaria italo – ucraina in stazione, Katia, si pone un dubbio: “Da quello che mi dicono le persone che arrivano, all’inizio della guerra bastavano mille grivnia, la valuta ucraina, per farsi accompagnare fuori, ora ne vogliono cinquemila. C’è anche da dire che alcune volte questi ‘tassisti’  guidano sotto le bombe mettendo a rischio la propria vita e la tariffa, che comunque non giustifico, tiene conto anche di questo. Certo, poi ho esempi come quello di una ragazza di 20 anni di Kaharkiv che si è caricata quattro civili raccolti per strada e li ha portati oltre il confine e ora stanno a Milano”.

Fabio Prevedello, il presidente dell’ Associazione Europea Ucraina-Italia Maidan, reduce da un viaggio per portare viveri in territorio di guerra, parla di “sciacallaggio” e “taglieggiamenti”. “Accanto ai meravigliosi volontari ai confini, è pieno di sciacalli che chiedono cifre assurde. Una signora mi ha riferito che persone senza alcun ruolo in dogana hanno chiesto per un passaggio 500 euro per lei, 100 per il figlio di 12 anni e 100 perfino per l’altro figlio neonato.  Il fatto è che, in quei momenti di estrema fatica ed emotività, quando vieni avvicinato da persone che ti promettono un alloggio e una sistemazione se versi quell’obolo tendi a crederci. Invece poi ti trovi in un campo profughi. So che la polizia polacca sta indagando su questo”.  Alla frontiere si parla anche, ma per il momento sono solo voci non confermate, di donne che salgono sui pullman e poi spariscono perché inghiottite nel racket della prostituzione e di bambini di cui si perdono le tracce. 

A provare a mettere ordine nel ‘tariffario’ è un religioso che è stato sul campo e ha constatato di persona la situazione ai confini: “Per passare quello polacco bisogna dare agli autisti 400 euro, la stessa somma che si versa per attraversare l’area che separa la Romania e l’Ungheria, che non è area Schengen. Va peggio per chi scappa da Odessa. Oltre alla quota base di 400 euro, si deve aggiungere un extra di 500 euro per compensare chi ha il coraggio di farti uscire dalla città dove sparano a vista”.

C’è anche una storia a lieto fine. La racconta Maria, una donna ucraina che lavora come badante in Italia da molti anni: “A mia madre che voleva scappare dal suo villaggio nel sud ovest erano stati chiesti 300 euro per portarla vicino al confine. Per fortuna poi il suo vicino di casa si è offerto di accompagnarla”.

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