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3 Maggio 2024

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Ucraina, la Cina sta a guardare. L’astuzia del ministro cinese Wang Yi

Di Felice Massimo De Falco

Una fama di astuto negoziatore, con una forte preparazione accademica, che oggi deve dare prova di un equilibrismo apparentemente sempre più difficile da sostenere sulla crisi in Ucraina.
Wang Yi, dal 2013 ministro degli Esteri di Pechino è il diplomatico più noto della Cina, e dal 2018 è anche Consigliere di Stato, titolo che condivide con l’altro alto diplomatico di Pechino, Yang Jiechi, suo predecessore alla guida del ministero, e oggi a capo della Commissione Affari Esteri del Partito Comunista Cinese.

In un giro di telefonate, dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, Wang ha parlato, prima con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, e poi con le controparti europee: l’alto rappresentante per le Politiche Estere e di Sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrell, il consigliere diplomatico del presidente francese, Emmanuel Bonne, la segretario agli Esteri britannica, Liz Truss, e la ministro degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock. Prima ancora, lunedì scorso, aveva parlato al telefono con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken.

Gli sforzi diplomatici della Cina per evitare un’ulteriore escalation della crisi sono affidati a lui, principale alfiere della “Xiplomacy”, la linea di politica estera del presidente cinese, Xi Jinping.
Con tutti i suoi interlocutori, Wang ha sottolineato la posizione che la Cina ha elaborato dall’inizio delle operazioni militari russe, e che ribadisce alcuni punti fermi della diplomazia di Pechino, a cominciare dal netto rifiuto per le sanzioni “unilaterali e Illegali”, come le definiscono i suoi portavoce, e la necessità di abbandonare la “mentalità da Guerra Fredda”.

Nello specifico, Wang ha articolato cinque punti, che mettono insieme il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, e che “si applica anche all’Ucraina”, e la comprensione per la preoccupazioni di sicurezza della Russia di fronte all’allargamento a est della Nato.
Per Wang, la Nato dovrebbe “riconsiderare il proprio posizionamento e le proprie responsabilità”, e assieme all’Ue e alla Russia dovrebbe instaurare un dialogo per “costruire un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile”. 

La Cina, ha assicurato l’alto diplomatico, incoraggia tutti gli sforzi diplomatici e il dialogo diretto tra Russia e Ucraina, e sprona il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad avere un “ruolo costruttivo” nella risoluzione della crisi in Ucraina.
Ai termini, spesso paludati, dei comunicati emessi dalla diplomazia cinese, Wang alterna richiami e avvertimenti anche durissimi, come quelli rivolti in più occasioni agli Stati Uniti, per riportare le relazioni tra Cina e Usa su una strada corretta, “altrimenti sarà una catastrofe”.

Il rapporto con gli Stati Uniti, rimane una priorità per la Cina: anche oggi, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla firma del comunicato di Shanghai, che ha spianato la strada all’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Pechino e Washington, Wang ha richiamato gli Stati Uniti a rispettare i fondamenti di quella dichiarazione congiunta per “sciogliere il ghiaccio ed eliminare gli ostacoli, e capire come le relazioni sino-americane possono andare avanti”.
Sotto la sua guida, il ministero degli Esteri cinese, che storicamente è sempre stato in secondo piano rispetto ad altri dicasteri, ha aumentato esponenzialmente la propria visibilità: sui social media occidentali – in particolare Twitter, oscurato dalla censura in Cina – è aumentata la presenza dei portavoce e degli ambasciatori, soprattutto dalle sedi più importanti del mondo, e la Cina ha iniziato ad alzare i toni delle sue dichiarazioni, rispondendo colpo su colpo alle accuse provenienti da Washington.

Negli ultimi anni, i “lupi guerrieri” della diplomazia cinese hanno difeso la posizione della Cina su tutte le principali controversie internazionali, dalla disputa commerciale con gli Usa, alla repressione a Hong Kong; dalle violazioni dei diritti umani ai danni degli uiguri nello Xinjiang, all’immancabile richiamo alla sovranità su Taiwan, l’isola che Pechino considera parte integrante del proprio territorio nazionale, e su cui ha aumentato la pressione militare, diplomatica ed economica.
Il suo attivismo come ministro non è però, limitato alle dichiarazioni: Wang è un diplomatico astuto, e autore anche di colpi diplomatici, come a luglio scorso, quando ha ospitato a Tianjin una delegazione dei talebani.

A colloquio con i rappresentanti degli studenti coranici che si sarebbero insediati a Kabul poco più di due settimane dopo, Wang aveva mostrato il volto di una Cina affidabile come interlocutore sul piano internazionale, in implicita contrapposizione al “fallimento” degli Stati Uniti, che stavano lasciando il Paese dopo venti anni di presenza militare sul territorio.

La stella del capo della diplomazia cinese, da allora, non sembra essersi appannata, ma la mancata condanna della Russia e l’equilibrismo di Pechino nella crisi in Ucraina appaiono sempre più difficili da sostenere, e da digerire, per i partner europei e occidentali di Pechino.

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