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23 Aprile 2024

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“Il carcere? Rimediare alle ingiustizie”. Ed il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano cita Crespi

“Vorrei portarvi l’esempio di un’ordinanza con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Milano, in un caso specifico di cui si è molto parlato, ha ritenuto di escludere il pericolo di reiterazione dei reati compiuti, secondo la sentenza, in un contesto di associazione mafiosa. Badate che il caso si riferisce a una persona che nega la commissione dei reati e il Tribunale di Sorveglianza rispetta questa scelta, la ribadisce e la richiama. E allora cosa fa il Tribunale di Sorveglianza? Osserva che il lungo tempo trascorso dal fatto-reato deve essere coniugato ad altri fattori, tra cui l’impegno professionale e umano della persona a difesa della legalità nella lotta alla criminalità, compresa quella mafiosa, con il compimento di opere che sono oggetto di attestati di riconoscimento e perfino divulgate a fini educativi per le future generazioni”. Lo ha affermato la Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Giovanna di Rosa, intervenendo al IX Congresso di Nessuno tocchi Caino che si svolge oggi e domani nel carcere di Opera a Milano, citando passaggi dell’ordinanza con la quale il TdS di Milano, il 23 giugno scorso, ha accolto, in seguito alla domanda di grazia (poi parzialmente concessa da Mattarella) la richiesta di differimento della pena per Ambrogio CRESPI dopo la condanna definitiva a 6 anni di reclusione con l’accusa di aver procurato voti a Domenico Zambetti, assessore della Giunta Formigoni, per le regionali del 2010, servendosi, secondo i giudici, di conoscenze in ambienti della ‘ndrangheta. “La persona esaminata – ha sottolineato la presidente di Rosa – ha adoperato la sua arte per promuovere la cultura della legalità, della giustizia, della bellezza e della speranza. Pensate che parole positive, che termini concreti che danno valore a quella persona, a quella persona il cui corpo, purtroppo, secondo quello che si sente discutere come tematica generale, viene usato come ostaggio per dire agli altri ‘guardate non fate così altrimenti finite così’. Quello di trattenere il corpo per fare confessare è un modo di combattere proprio dell’Inquisizione, è un modo proprio degli anni più oscuri della storia d’Italia”. “Io appartengo allo Stato – ha aggiunto -, svolgo dei compiti istituzionali, ma lo Stato non è questo, non è assolutamente questo, lo Stato ha compiuto centinaia di chilometri di distanza da questo ragionamento. Tornando alla nostra ordinanza, ci dice invece che con il compimento di queste opere per le future generazioni e con l’amore per questa etica condivisa, con l’indirizzare le proprie capacità professionali verso produzioni pubblicamente riconosciute di alto valore culturale, denuncia, impegno civile, strumenti efficaci per la diffusione di messaggi di legalità e di lotta alla criminalità, si porta a ritenere che la grazia, perché, guardate, l’istituto richiesto era il più ampio in assoluto possibile, qui non parliamo di istituti intermedi di benefici penitenziari, parliamo addirittura della grazia, che la grazia, dunque, potrebbe costituire un mezzo, leggo le parole testuali perché non so riepilogarle meglio, un mezzo di riparazione-rimedio alle possibili incoerenze del sistema rispetto al senso di giustizia sostanziale”. 

“Questo – ha evidenziato il giudice – è esattamente la traduzione del principio su cui si fonda questo nostro incontro. Il diritto penale che è meglio tradurre in qualcosa di meglio del diritto penale, perché bisogna pensare ad altro, perché bisogna rimediare a quelle ingiustizie che la giustizia può produrre. Qui si legge in un provvedimento firmato dai giudici che le finalità della pena si declinano anche per gli aspetti attinenti la responsabilizzazione del condannato rispetto alle azioni commesse, l’osservazione della sua personalità e la comprensione delle cause sottese al reato per la promozione di un cambiamento sostanziale, non solo comportamentale o formale, in un’ottica sia preventiva che riparativa. In questo senso appaiono certamente fondate, e qui ‘certamente’ è rafforzativo perché vuol dire il tribunale è proprio convinto (…), le osservazioni della difesa in merito alla già esaurita finalità di socializzazione e reinserimento sociale della pena rispetto al condannato. Abbiamo scoperto una persona a cui la pena non faceva più niente, non serviva più anche se doveva ancora farsi degli anni”. Subito dopo il giudice, applaudito dalla platea del congresso di Nessuno tocchi Caino, ha osservato: “Questo applauso secondo me va a questo provvedimento, a questo modo di sentire, a questo modo di essere, che è esattamente il contrario di quello che dicevamo prima, ti tengo per sempre dentro affinché altri guardino quello che ti succede e di te non me ne importa più nulla. No, lo Stato non fa così. E questo secondo me quel riportare all’ordine naturale delle cose la non violenza, di cui ha detto poco fa Sergio D’Elia, a quel vivere insieme, a quell’unire e non dividere. E un esempio espresso, esplicito di tutto questo, e porta a concludere che è felice, che è mirabile l’esperienza giudiziaria di questo provvedimento e di questa storia, che è una storia che dimostra che la verità non è quella che viene raccontata, è quella che viene vissuta da chi la conosce e ha questi risvolti”. “E questa verità – ha concluso – conferma che su tanti e diversi fronti si può arrivare a sanare il conflitto sociale nato con il reato, e sono fronti che portano l’intelligenza e il cuore a osare, e osando a sperare. E allora concludo questo mio intervento dicendo Spes Contra Spem”. 

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