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19 Aprile 2024

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Il referendum che ha fatto il buco nell’acqua

di Antonluca Cuoco

Questo giugno 2021 è una data significativa: sono passati esattamente dieci anni da quel giugno in cui si celebrarono in Italia i referendum strumentalmente chiamati sull’ “acqua pubblica”. Il paradigma populista, irrazionale e demagogico si materializzò nelle urne.

Vi ricordate come votaste al referendum truffaldino sull’acqua pubblica, regalando alle municipalizzate politiche la privatizzazione dell’acqua? Sul populismo becero da anni fa leva la peggiore classe politica e ciò ha impedito la gestione dell’acqua con gara aperta; quei politici ringraziano ancora e continuano a mangiarci, con l’acqua.

Tanti cittadini, la cui percezione fu amaramente deformata da un circo mediatico orientato alla propaganda e non alla puntuale informazione con dati ed evidenze, si bevvero la bufala del referendum sull’acqua

Tanti cittadini, la cui percezione fu amaramente deformata da un circo mediatico orientato alla propaganda e non alla puntuale informazione con dati ed evidenze, si bevvero la bufala del referendum sull’acqua. L’impatto di quei referendum ebbe – ed ha ancora – una forte cifra politica, le cui conseguenze sul piano fiscale ed economico sono state fortemente negative, non solo per gli operatori economici ma soprattutto per i cittadini e utenti del servizio pubblico. In pochi eravamo ad ammonire su tali nefaste conseguenze.

A. Cuoco

La demagogica campagna elettorale che portò al voto del 12 e 13 giugno 2011 contribuì ad inquinare il dibattito pubblico, andando ad accrescere la convinzione per che gli investimenti pubblici siano gratis e che il coinvolgimento del privato rappresenti sempre un male. Le persone furono ingannate: gli fu chiesto di firmare contro la ‘privatizzazione’ dell’acqua e contro gli aumenti tariffari, quando in realtà stavano firmando per consegnare al peggiore apparato politico il controllo delle risorse idriche.

Quella vittoria dei sì ai referendum confermò la gestione politicizzata, clientelare e sprecona che ci ha portati nell’attuale situazione in cui più di un terzo dell’acqua va sprecata e troppi comuni sono ancora privi di impianti di depurazione decenti. In Italia, infatti, il 40% dell’acqua viene sprecato per i problemi della rete idrica, come ci ricorda l’ultimo rapporto dell’ISTAT sul consumo di acqua nella nostra penisola. Osservando i dati delle 14 città metropolitane, i problemi sono soprattutto al Sud. Le situazioni più critiche sono a Palermo, dove la percentuale di perdite idriche è al 45,7%, Reggio Calabria (46,6%), Napoli (41,5%), Cagliari (48,4%), Bari (51,2%) e Catania (54,7%).

La normativa esistente è per molti versi inadeguata, ma occorre farle fare dei passi avanti verso una maggiore apertura alla efficienza ed alle gare ad evidenza pubblica, non un balzo indietro verso un passato partitocratico che nessuno rimpiange.
Il referendum non fu sulla privatizzazione dell’acqua, ma sull’obbligo di indire una gara pubblica per darla in gestione (come, tra l’altro, ci impone la normativa UE ed il buon senso). Vinse il fronte populista, e oggi si continua ancora a darla in gestione, ma senza gara pubblica, con nomina politica ed i famigerati affidamenti inhouse.

@antonluca_cuoco

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