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14 Novembre 2025

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Gli ostaggi verso casa: la fine di un incubo

Dopo 737 giorni di prigionia, la lunga attesa sembra finalmente volgere al termine. Venti ostaggi israeliani, rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023 durante l’attacco più sanguinoso della storia recente del Paese, stanno per tornare a casa. L’accordo, mediato da Qatar, Egitto e Stati Uniti, segna la fine di un periodo drammatico, vissuto tra angoscia, speranza e rabbia da centinaia di famiglie.

Un ritorno carico di dolore e sollievo

La notizia della liberazione ha scosso l’intero Paese. Davanti agli ospedali militari e ai centri di accoglienza, familiari e volontari si preparano ad accogliere i superstiti. «Saranno irriconoscibili, ma li riabbracceremo comunque. Ricostruiremo la vita», ha dichiarato uno dei genitori di un rapito.

Le autorità israeliane hanno predisposto reparti speciali per il rientro: cure mediche, supporto psicologico e programmi di riabilitazione saranno offerti a ciascuno dei liberati. Il timore principale resta la condizione fisica e mentale di chi ha trascorso oltre due anni sotto terra, tra fame, isolamento e violenze.

Il contesto dell’accordo

Il cessate il fuoco, entrato in vigore il 9 ottobre, ha previsto lo scambio di prigionieri: 20 ostaggi israeliani in cambio di 1.950 detenuti palestinesi. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato di “evento storico per Israele”, aggiungendo che “il dolore resta, ma l’unità del popolo è più forte dell’odio”.

L’accordo è stato raggiunto dopo settimane di trattative segrete a Doha, dove anche gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo decisivo. Donald Trump, tornato in Medio Oriente a settembre per mediare il negoziato, ha incontrato i leader israeliani e palestinesi, definendo la liberazione “un passo verso la pace duratura”.

Le immagini del ritorno

Nei pressi del confine, soldati e volontari hanno allestito punti di raccolta coperti di messaggi, fotografie e fiori. Su un muro, campeggia un grande poster con la scritta “Thank you, Mr. President!”, accanto a bandiere e disegni dei bambini.

Le famiglie, intanto, restano sospese tra emozione e paura. Alcuni temono di non riconoscere i propri cari; altri, come la madre di un giovane militare rapito, hanno trascorso gli ultimi due anni dormendo con la televisione accesa, nella speranza di ricevere una notizia.

Una ferita ancora aperta

Nonostante la gioia per il ritorno, la ferita resta profonda. Israele conta ancora decine di dispersi, e il governo ha promesso di continuare le operazioni per chiarire il destino di ciascuno.

Per molti, questa liberazione non è la fine, ma l’inizio di un lungo processo di guarigione collettiva. «Abbiamo ottenuto qualcosa di importante», ha dichiarato Netanyahu alla Knesset, «ma la nostra vittoria sarà completa solo quando ogni ostaggio tornerà a casa.»

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