Ottobre 1985. In una base militare siciliana, nella notte di Sigonella, l’Italia visse uno dei momenti più alti della propria storia repubblicana. Non un episodio di semplice diplomazia, ma un atto di coraggio politico e di dignità nazionale.
Al centro di quella scena: Bettino Craxi, presidente del Consiglio, leader socialista, statista convinto che l’Italia non dovesse mai essere una colonia, ma un interlocutore autorevole sulla scena mondiale.
Tutto nacque dal dirottamento della nave italiana Achille Lauro, sequestrata da un commando palestinese. Durante il sequestro, un cittadino americano, Leon Klinghoffer, venne ucciso. Gli Stati Uniti reagirono pretendendo la consegna immediata dei responsabili. Craxi, però, non cedette. Rivendicò la competenza giuridica italiana: la nave era italiana, il delitto avvenuto sotto bandiera italiana, quindi l’Italia doveva giudicare.
Quando un aereo egiziano che trasportava i dirottatori fu costretto dagli americani ad atterrare a Sigonella, la tensione divenne altissima. Attorno a quell’aereo si fronteggiarono militari italiani e americani, con le armi pronte. Gli Stati Uniti volevano arrestare i sospetti, Craxi ordinò che nessuno violasse la giurisdizione italiana.
La crisi durò ore. Poi, la linea di Roma prevalse. Gli uomini della marina militare e dei carabinieri italiani presero in consegna i terroristi. Sigonella non finì in tragedia, ma segnò una svolta.
Quella notte, l’Italia non si inginocchiò. Craxi mostrò che un Paese alleato degli Stati Uniti poteva restare indipendente. Non fu antiamericanismo, fu orgoglio repubblicano.
Il leader socialista non cercava lo scontro: difendeva un principio. L’Italia doveva essere amica dell’America, ma padrona delle proprie decisioni.
Dietro quella fermezza, c’era una visione più ampia. Craxi immaginava un’Italia e un’Europa capaci di parlare con voce propria nel Mediterraneo e in Medio Oriente.
Non una sponda subordinata alle strategie di Washington, ma un ponte di dialogo e stabilità fra Nord e Sud, fra Occidente e mondo arabo.
Sigonella fu l’espressione concreta di quella visione: l’Italia protagonista, non spettatrice.
Molti anni dopo, la storia di Sigonella continua a parlare. È il simbolo di un’Italia che sa dire “no” quando serve, che difende il proprio diritto, la propria dignità e la propria parola.
Craxi agì con lucidità e coraggio. Telefonò a Reagan, affrontò pressioni e critiche, ma non cedette. Perché sapeva che la credibilità internazionale nasce dall’indipendenza, non dalla sudditanza.
In un tempo in cui la politica spesso si rifugia nell’obbedienza o nel calcolo, quel gesto appare ancora più grande. Sigonella non è solo memoria storica: è un monito.
Ci ricorda che la sovranità non è isolamento, ma libertà di scelta. Che essere alleati non significa essere vassalli. E che l’Italia, se vuole, può ancora essere una voce autonoma, rispettata, ascoltata.
Rileggere oggi quella notte significa riconoscere a Craxi ciò che la storia troppo a lungo gli ha negato: la statura di uno statista capace di visione e coraggio.
Sigonella resta il punto più alto della politica estera italiana del dopoguerra.
Fu la notte in cui un uomo, un governo e un Paese difesero la propria sovranità davanti al più potente alleato del mondo.
Una notte in cui l’Italia, per una volta, non fu colonia. Fu nazione




