Roberto Occhiuto ce l’ha fatta di nuovo. Il presidente uscente della Regione Calabria, espressione del centrodestra unito, ha vinto nettamente le elezioni regionali confermandosi per un secondo mandato consecutivo — un risultato mai raggiunto prima nella storia politica calabrese.
Con circa il 59,8% dei voti, Occhiuto ha distanziato il principale sfidante, Pasquale Tridico, sostenuto dal cosiddetto campo largo progressista, fermatosi attorno al 39%. Un margine di quasi venti punti percentuali che consolida il dominio del centrodestra in una delle regioni politicamente più complesse del Paese.
Un risultato storico
È la prima riconferma di un governatore nella storia della Calabria. Finora, ogni presidente regionale aveva lasciato il posto a una nuova amministrazione dopo un solo mandato. Occhiuto spezza la tradizione, rafforzando la sua leadership e quella di Forza Italia, che si afferma come primo partito della coalizione con oltre il 18% dei consensi.
“La Calabria ha scelto la continuità e la stabilità,” ha dichiarato Occhiuto nella notte dello spoglio, ringraziando “una regione che non ha creduto alle polemiche ma ai fatti concreti”. Il governatore ha rivendicato i risultati sul piano della sanità, delle infrastrutture e della lotta alla burocrazia, promettendo “un quinquennio di rilancio economico e credibilità istituzionale”.
Il candidato del centrosinistra, Pasquale Tridico, ex presidente dell’INPS, non è riuscito a ribaltare i rapporti di forza. Nonostante una campagna elettorale intensa e il sostegno congiunto di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e altre sigle progressiste, la coalizione non ha superato la soglia del 40%.
Tridico ha riconosciuto la sconfitta, parlando di “una partita difficile ma non persa per sempre” e auspicando “un’opposizione costruttiva, capace di incidere sui grandi temi sociali”.
Affluenza in calo
L’altro dato significativo è quello dell’astensione. Solo il 43,1% degli aventi diritto si è recato alle urne, in leggero calo rispetto al 44,3% del 2021. Un segnale che riflette la disillusione di gran parte dell’elettorato, soprattutto nei centri minori e nelle aree interne, dove la partecipazione è scesa sotto il 40%.




