Lo dico senza problemi: non conoscevo Daniele Faggiano. O meglio, ne avevo sentito parlare, ma non seguendo con attenzione il calcio da un po’ mi ero perso nomi, percorsi, curriculum.
Sono un tifoso arrugginito, appassionato ma arrugginito.
Ho seguito, però, la conferenza stampa. Mi ha colpito. Schietto. Concreto. Senza fumo.
Quando ha detto: “Non sono venuto a svernare. Ci metterò anima e cuore” non ho pensato alla solita frase fatta. Gli ho creduto. A pelle. Nessun giro di parole, nessun copione imparato. Solo il tono di uno che sa dove si trova: in una città ferita, stanca di chi promette e poi delude.
Ha spiegato, nell’incontro con la stampa, che vuole una squadra pronta prima del ritiro, con dentro giovani di prospettiva ma anche uomini con esperienza. Ha detto di aver già avviato i contatti con allenatori, pochi nomi ma giusti, e ha insistito sul fatto che farà le scelte “con la sua testa”.
“Se sbaglio, sarà responsabilità mia” ha sottolineato in un’epoca dove lo sport nazionale è fuggire da queste.
Un passaggio mi ha colpito più degli altri. Faggiano ha detto che “è più difficile gestire le vittorie che le sconfitte”. E ha ragione. Qui a Salerno siamo stati travolti prima dall’entusiasmo, poi dalla rabbia. Abbiamo bisogno di gente che mantenga la barra dritta, che non si esalti con due vittorie o si deprima con una sconfitta. Serve equilibrio. E lui, oggi, lo ha dimostrato.
Ha parlato poco di moduli, nulla di slogan. Ha parlato di uomini veri, di mentalità, di rispetto per la maglia. Ha detto che qui si viene per lottare, non per apparire. È un discorso che mi ha ricordato il calcio di una volta. Quello che mi ha fatto innamorare e che rimpiango.
Lo ripeto: non conoscevo Faggiano. Ma oggi, dopo 40 minuti di conferenza stampa, sono contento che sia qui.