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Nato a Salerno da genitori ucraini, ma è clandestino. La battaglia di Marco contro la burocrazia

di Anna Adamo


Marco nasce a Salerno da genitori di nazionalità ucraina che decidono di separarsi quando aveva solo cinque anni. Entrambi tornano nel proprio paese d’origine, ma Marco no, non sarebbe potuto tornare, non avrebbe potuto lasciare la vita che aveva, a piccoli passi, costruito con così tanto impegno.
Privarlo della scuola, degli amici, del campo estivo che lo avevano accolto fino a quel momento, sarebbe stato impossibile, gli sarebbe stato inflitto un brutto colpo che, dopo il passato burrascoso di cui era stato protagonista a causa del difficile rapporto dei genitori, non sarebbe stato capace di reggere.
A metterlo in salvo, provvede, quindi, la zia, unico familiare in Italia già da tanti anni capace di garantirgli una vita degna di essere vissuta, prendendosi cura di lui e cercando, nel miglior modo possibile, di integrarlo in società e far si si sentisse, come è giusto che sia visto luogo in cui è nato, italiano a tutti gli effetti. L’intento della donna è perfettamente riuscito, Marco è cresciuto in Italia, ha stretto rapporti d’ amicizia e per chiunque lo conosca è un italiano come tutti gli altri.
Peccato che, a pensarla diversamente, sia lo Stato.
Per quest’ultimo, infatti, Marco è un clandestino e poco importa che abbia frequentato, scuola, attività extra scolastiche e catechismo in Italia, di conferirgli il permesso di soggiorno proprio non vogliono saperne.
Una storia assurda, che lascia senza parole, dinanzi alla quale non si può di certo restare fermi. Di mezzo c’è un bambino che non ha alcuna colpa al quale la burocrazia sta rendendo la vita un inferno.
Come è possibile che pur essendo nato a Salerno non abbia documenti, medico di base e permesso di soggiorno? La zia non riesce a spiegarselo, è disperata, così come lo è Marco che si sente rifiutato dal suo paese natale e non smette di chiedersi per quale motivo, pur essendo delle brave persone, vengano trattate in questo modo.
Quello di Marco e sua zia non è un grido d’ aiuto come gli altri, è un grido che porta con sé il sapore di un’ingiustizia che non riescono più a reggere.
É il grido di chi, dopo anni di lotte, pretende di ricevere ciò che gli spetta.
È un grido che abbiamo il dovere di ascoltare per garantire al bambino una vita serena nel paese in cui è nato e ha il diritto di continuare a crescere.

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