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In Italia su un barcone, ora è consigliere comunale a Torino. La storia di Abdullahi Ahmed 

di Anna Adamo


Abdullahi Ahmed aveva solo diciannove anni quando è partito dalla Somalia e dopo un viaggio estenuante durato otto mesi è sbarcato a Lampedusa, per poi trasferirsi a Settimo Torinese, dove vive ancora oggi.

La storia


“Ho studiato sodo e ho imparato l’italiano, dovevo trovare un lavoro per mandare i soldi a casa. Sono una persona onesta, ho voluto subito conoscere le regole del posto in cui ero giunto, ma la maggior parte di noi non è così”. Dalle sue parole, il dolore per il difficile passato di cui è stato protagonista si evince, ma è un dolore di cui va fiero, perché lo hanno reso la persona amata e rispettata che oggi è.
Ebbene si, Abdullahi è un migrante che ce l’ha fatta, da otto mesi, infatti è consigliere comunale a Torino.
“Sono il primo migrante arrivato in Italia su un barcone a ricoprire una carica pubblica” racconta”.

“La mia storia – aggiunge – è la testimonianza del fatto che in Italia l’integrazione è possibile. A me, però, non piace parlare di integrazione, preferisco parlare di interazione”. Non vi sono dubbi che tengano, il giovane consigliere comunale sa perfettamente quello che vuole, ma soprattutto sa che nulla si ottiene senza sacrificio.
Quel sacrificio che in dodici anni gli ha permesso di fare quanta più strada si possa immaginare, facendo si che passasse dall’essere colui il quale si guadagnava da vivere facendo il fattorino, all’essere una persona che conosce l’ italiano e parla con padronanza di politica e PNRR e che l’ Unhcr ha chiamato a Roma a raccontare la sua storia di “integrazione e soluzioni possibili per una crisi senza precedenti” in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.
Abdullahi è felice, grato a coloro i quali lo hanno aiutato ad integrarsi.
“Sono stato fortunato – dice -. Ho trovato amici che mi hanno aiutato. Un giorno un amico mi portò allo stadio a guardare la partita del Torino, quando la squadra segnò tutti cominciarono ad abbracciarsi, io ero l’unico nero in tutto lo stadio. Mi guardarono e, nonostante per loro fossi uno sconosciuto, iniziarono ad abbracciarmi”.
Fa, come è giusto che sia, notizia, questa storia.
Fa notizia anche se così non dovrebbe essere, perché certe cose, come l’ integrazione, dovrebbero essere considerate normali e non straordinarie.
Perché, così come ce l’ha fatta Abdullahi dovrebbe farcela chiunque, non solo un migrante su tanti.
Ciononostante, quanto accaduto a quest’ultimo non si può negare faccia ben sperare che, prima o poi, con piccoli gesti le barriere possano finalmente essere abbattute.

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