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Baby Gang non si fermano, è emergenza tra i giovani


di Anna Adamo

Così piccoli e al tempo stesso così grandi. O, almeno, credono di esserlo, perché a quattordici anni o poco più, con l’ essere “grandi” si ha ben poco a che fare.
Ebbene si, sono proprio loro: i ragazzi delle cosiddette Baby Gang, che si divertono a prenderli di mira, i coetanei. Per far scattare la scintilla basta veramente poco: ritenere che la “vittima” non indossi un vestito considerato alla moda, o semplicemente il desiderio di volergli fare uno scherzo, rubargli il cellulare nuovo, ad esempio, ed ecco che tutto si trasforma in tragedia.
E no, non si dica che scherzino, che questa è roba da ragazzini, perché non è affatto così.
Quello delle Baby Gang, purtroppo, è un fenomeno che cresce a dismisura e miete più vittime di quanto si possa immaginare. Lo dimostra quanto avvenuto nel quartiere Prati, a Roma, laddove un gruppo di quattordicenni hanno aggredito dei coetanei senza alcun apparente motivo. Episodi del genere non possono più essere sottovalutati o giustificati dicendo si tratti di un gioco tra ragazzi.
Perché, il problema è proprio questo: i ragazzi, i quali, tramite comportamenti di questo tipo, non fanno altro che mettere in risalto quanto siano fragili, quanto sia importante fornire loro esempi reali, che hanno ben poco a che fare con quelli proposti del social network al giorno d’oggi.
Ma, soprattutto, quanto sia importante ascoltarli e comprenderli senza giudicarli.
La chiave di tutto, infatti è lì, nell’ ascolto. É che siamo così, noi, facciamo fatica a vederle, certe cose, nonostante siano davanti ai nostri occhi e facciano rumore anche in silenzio.
Eppure, basterebbe davvero poco, per evitarle, certe tragedie.
E probabilmente tutto sarebbe più semplice, se li ascoltassimo, i ragazzi.
Del resto, se non li si ascoltano, come si può pretendere di sapere quali sono le loro intenzioni e di cosa necessitano?
Allora si, è vero. É vero che il problema non sono solo i ragazzi, ma anche noi che li osserviamo, che crediamo di dar loro l’esempio e invece non diamo un bel nulla, perché siamo sempre troppo presi dai nostri impegni e dai nostri problemi, come se non ne avessero anche gli altri.
Una riflessione, dunque, è più che doverosa. É più che doveroso capire e ammettere che una buona dose di colpa è nostra. Che tocca a noi far capire loro che la violenza non è mai la soluzione. Che quest’ultima uccide la dignità.
Che fare del male agli altri non li renderà vincitori, ma perdenti a prescindere.
Perché, la verità è che la violenza non è altro che l’ultimo rifugio degli incapaci, di chi permette al male di trionfare sempre sul bene.
E no, noi non possiamo permettere che ciò avvenga.
Abbiamo il dovere di formare gli uomini e le donne del domani, che combattano per contrastarla la violenza e non per praticarla.

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