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20 Aprile 2024

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Conte alle suppletive di Roma. Che ci sia la mano di Calenda?

Di Felice Massimo De Falco

È presto è avventato dire se dietro la rinuncia alla candidatura di Conte alle suppletive di Roma centro propostagli dal Pd per prendere il posto di Gualtieri (ora sindaco di Roma), ci siano i rimbrotti di Carlo Calenda e i suoi propositi riformisti. E non è possibile dire se l’atteggiamento “accogliente” del Pd al rifiuto sian una lenta “strategia del distanziamento” da un Movimento che, nei numeri dei sondaggi, non rappresenta più quel plus attorno a cui costruire un’alleanza ampia e vincente. “C’è molto da fare nel Movimento 5 stelle” ha detto il leader Conte, che ha più la fisica del curatore fallimentare che del capo politico. Ma sta di fatto che la discesa annunciata il 5 dicembre da Calenda ha un po’ rimescolato le carte nelle stanze del Nazareno, preoccupati a non lasciarlo nelle mani del centrodestra. Calenda ha fortemente stigmatizzato la scelta iniziale del Pd a favore di Conte definendola “un patto di potere a due, senza spinte ideali”. Anche Matteo Renzi aveva rinfocolato la questione affermando che “se il Pd trova un candidato riformista, noi ci siamo, se sceglie Conte, troveremo noi un candidato comunque riformista. Regalare al pioniere del sovranismo un seggio sicuro, vuol dire subalternità totale.” E Calenda su Facebook aveva rincarato la dose: «I 5 Stelle hanno devastato Roma, paralizzandola per cinque anni e mortificandola in tutti i modi. Non esiste, ma proprio non esiste, cedergli un collegio dove hanno fatto uno scempio. Per delineare un cambio di prospettiva delle alleanze è prematuro ma rappresenta l’indizio che un polo di centro fatto da popolari, riformisti, socialisti, repubblicani, si stia formando e che il Pd voglia accaparrarsene non solo in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica ma anche per eventuali legislative nel 2022. Quei voti, seppur esigui, sono fondamentali. Ma Calenda ritira anche la sua candidatura: «Per me il problema non sussiste più. Non potevo accettare l’idea che un 5S calcasse i sacri Colli, che il Pd abbandoni i propri elettori a un Movimento che in quel collegio alle Comunali ha preso il 5,3 per cento. È da tre settimane che Letta cicprende in giro, dicendo che avremmo parlato. Questo modo di procedere di Enrico dimostra che non c’è nessun Ulivo 2.0 ma solo un Conte 2 riveduto è corretto. Lì sono rimasti i dem, nessuno sforzo di ampliare l’area liberale, democratica e riformista». E chiude sulla corsa al Quirinale: «Se salta Draghi a Palazzo Chigi salta tutto. Con la fiammata inflazionistica, i soldi del Pnrr da spendere entro luglio, le vaccinazioni anche ai bambini da gestire, serve che il premier resti fino al 2023. Altrimenti vedo Salvini in piazza e all’opposizione in Parlamento. Si va sicuro alle elezioni. Meglio indicare come Capo dello Stato Marta Cartabia, una figura con esperienza costituzionale che sarebbe la prima donna al Colle e fare un patto di legislatura che vincoli gli attuali componenti della maggioranza a non creare instabilità fino al 2023». farne le spese sarebbe il Movimento, sempre più solo e senza forza propulsiva in termini di idee, di numeri e di strategia politica.

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