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20 Aprile 2024

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Di Maio e quel ‘ceffone’ fortunato

Di Felice Massimo De Falco


Tutto partì da uno schiaffo partorito dalle mani di un consigliere socialista a Luigi Di Maio, che all’epoca dei meetup s’infiltrava nei convegni degli altri partiti di Pomigliano, interpretando la parte di disturbatore. Relatore era Andrea Cozzolino del Pd, che chiese scusa. La stampa se ne occupò. Un barlume di riflettore s’accese attorno alla sua figura. La chiamava Operazione Fiato sul collo. C’era fermento sparpagliato. Era glabro, ma già ruvido e livoroso.

All’epoca s’era fissato con le agende rosse di Borsellino. La sua ascesa virale ha inizio da qui. Poi qualche battaglia sempre persa contro l’amministrazione di Raffaele Russo, qualche carezza ricambiata alla Chiesa di San Felice, tanto presentismo, intelligenti doti di menestrello. I partiti tradizionali lo sottovalutavano. D’altronde era un agit-prop di paese. Voleva esser considerato un citoyen, ma il suo approdo era un potere monocolore.

Baciato dal vituperato Porcellum, non è stato difficile emergere tra una consorteria strampalata. Un blazer blu semi-industriale lo avrebbe reso più interessante. Diventato coordinatore del M5S, porta il partito al massimo storico ma nel giro di un anno perde metà dei voti. Va al governo e inizia una gimkana di contraddizioni che portano migliaia di elettori alla disaffezione tra lo sgomento. Un’apostasia o spirito di sopravvivenza?

Che sia un merito l’aver rimescolato le idee dei suoi esordi? Lo sapremo alle prossime politiche. Ma nessuno negherà la sua capacità di imporsi tra le trame oscure della politica, al netto di qualche esternazione surreale.
Il resto è autodafè, una contrita ritrattazione tra il barricadero e l’uomo di Stato. Fortuna e malizia per stare “dentro”. Ha imparato il valore del consociativismo. La clessidra del M5S è partita ma lui saprà rigenerarsi.
Più che amore per la politica, Roma è stata amor proprio.

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