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Le culture dell’emancipazione

di Massimo Ricciuti

E’ assolutamente necessario, oggi, rilanciare ma ripensare le nostre culture politiche di riferimento. Viviamo in un’epoca “altra” rispetto solo a due anni fa. Il punto di rottura è sicuramente stato il crollo del Muro di Berlino. Lì è iniziata la fine del ‘novecento. Una crisi che ci ha investito tutti. Socialisti e liberali. Progressisti e conservatori. Siamo rimasti immobili assistendo a un mutamento dei nostri paradigmi teoretici subendoli inconsapevolmente. Senza, cioè, renderci effettivamente conto di ciò che stesse accadendo sotto la crosta, la superficie. Fiduciosi di un’evoluzione della Storia che hegelianamente avrebbe progredito in una direzione obbligata. Si sarebbe prodotta in una direzione emancipatrice, senza che non facessimo nulla per essere effettivamente protagonisti attivi del cambiamento. Le cose sono procedute come sappiamo. Abbiamo confuso il concetto di libertà, non abbiamo saputo scegliere come declinarlo. Invece quello che stava manifestandosi sotto i nostri occhi aveva un nome: La Fine della Filosofia della Storia.

Oggi si nota nei più giovani, nei giovani impegnati in politica, una immensa passione. Come giusto che sia. Ma anche un tratto che un po’ manifesta un limite. Ovvero una certa gelosia dell’ortodossia delle tradizioni politiche classiche. Per cui, a sinistra come a destra, emerge un atteggiamento conservatore. Una sorta di missione di salvaguardia della propria cultura di riferimento. Il che è cosa fondamentale. Ma si avverte molto timore nel declinare al futuro la propria storia finendo così per chiudersi a riccio e rischiando di conservarla bella, pulita e linda ma fondamentalmente rendendola un po’ come una lingua morta. Insomma, si percepisce la prevalenza di posizioni “vetero”, assolutamente incapaci di rilanciare in modo vivo la politica nella Storia.

Credo che invece abbiamo superato un punto di rottura epocale dove i campi essenziali in cui far rivivere le nostre tradizioni sono essenzialmente inclusi nella dinamica “Open Society v/s Close Society” e declinando al futuro all’interno di questo schema la dialettica politica. Con questa consapevolezza ecco che i confini tra le culture politiche possono conquistare quella flessibilità che le renderebbe forza viva. Ecco che socialismo e liberalismo sono all’interno di un unico grande progetto di emancipazione dell’umanità. Al centro l’uomo. Il nostro, socialisti e liberali, limite è stato il non tener conto di una profonda variabile indipendente, cioè la vita in sé! Il liberalismo è variegato pieno di ricchissime sfumature. Dalla “scuola austriaca” a quella anglosassone fino alla “scuola di Chicago”. Von Hajek e Von Mises  in “Liberalismo politico e Liberalismo economico” già si confrontano sulle diverse implicazioni del termine “liberale”. Per non parlare della fitta polemica tra Von Hajek e Keynes (però sempre ricondotta in uno scambio epistolare di grande fair-play). O la parabola dell’inglese John Gray che nel corso della sua vita ha riassunto nei suoi studi un po’ tutte le posizioni del liberalismo. Oppure, a casa nostra, la famosa dicotomia Croce v/s Einaudi etc. etc.

In questi giorni di paura e di crisi manifesta (in cui il virus pare una rappresentazione plastica di un fallimento generale facendo emergere tutta l’irrazionalità che ci pervade) aiuta ovviamente la lettura. Appena scoppiata la pandemia (e dopo un anno di generali Pappalardo et similia) è stato pubblicato il libro di Guido Compagna “Quando Eravamo Liberali e Socialisti-Cronache Familiari Di una Bella Politica”. E’ passato un anno, ormai. Ma continuo a rileggerlo. E’ sul comodino. Come un breviario (affianco a Malagodi e Barthes!). Il libro, uscito per Rubbettino , è una godibilissima lettura di come, appunto, le nostre culture emancipatrici abbiano potuto convivere senza contrapporsi ideologicamente. Quella dei Compagna è , appunto, una famiglia in cui le tradizioni socialiste, liberali e repubblicane hanno saputo essere forza viva perché hanno saputo “superare” il limite dei rispettivi partiti di riferimento.  Guido Compagna, socialista liberale e repubblicano è stato opinionista de “Il Sole24Ore”, ha scritto per “Quaderni Radicali”, “Il Mondo” ed è stato redattore de “La Voce Repubblicana”. Oggi commenta sui siti web “L’Argine Socialismo” e “First on line”. Si tratta di cinquanta capitoletti che iniziano con un momento fortemente emozionante e evocativo quando nei primi anni ‘cinquanta Guido, bambino, accompagna il papà Francesco nella sua prima campagna elettorale nelle fila del PLI di cui fu dirigente. Francesco guidava l’ala “di sinistra”. Divenendo in seguito una figura importantissima e di riferimento nel PRI. Nel libro c’è tutto il novecento attraversato da una famiglia che vive con passione e adesione l’impegno civile e le battaglie per l’emancipazione e le libertà. Il fratello di Guido, Luigi, è stato prima nel PLI e poi in Forza Italia. Guido Compagna, come si legge nelle pagine finali di questa “educazione sentimentale e politica”, tiene a ribadire che se la sinistra ha le sue radici in e debba ripartire da Willy Brandt, Olaf Palme, Schmidt, Saragat… una vera cultura moderata e liberale deve ripensare a Adenauher, Giscard D’Estaing, Einaudi e Malagodi.  E’ un delicato “Buildungsroman” che consigliamo vivamente ai nostri giovani per non rimanere bloccati nel passato e per capire che la politica è vita, passione e movimento. Troverete tanto calore e tanta delicatezza. Ma soprattutto una scrittura lieve e intensa che dal centro del ‘novecento si apre verso il futuro.

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